Le risorse europee mobilitate dal Pnrr ammontano a 191,5 miliardi, cui vanno aggiunti i 13,5 miliardi del programma React-Eu – con progetti finanziati dai fondi di coesione europei – e i 30,6 miliardi di un Fondo complementare italiano destinato a finanziare progetti coerenti con le strategie del Piano ma che eccedono il tetto delle risorse europee disponibili.

L’economista che forse dall’aldilà saluterà il Recovery Plan con una smorfia di sorriso è Joseph Schumpeter. Teorico dello sviluppo metteva al centro della sua monumentale analisi una parola sola: l’innovazione. Partiva un’impresa o un imprenditore e poi uno “sciame”, come quello delle api che migrano verso un nuovo alveare, si aggrega sviluppando nuove iniziative e lanciando lo sviluppo. Ebbene la scommessa che può riaccendere l’Italia si chiama proprio innovazione e su questo punto ci possiamo giocare le carte del Next Generation Eu: a colpi di energie rinnovabili, idrogeno, high tech, elettronica avanzata.

Una maratona di cinque anni che secondo il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, sarà in grado di cambiare il paese. Le idee sono chiare: il primo passo è quello di moltiplicare per dieci la produzione di energie rinnovabili in modo da consentire, utilizzando queste energie, tutte le altre azioni di decarbonizzazione. A quel punto con maggiore energia verde a disposizione (attraverso eolico, solare e geotermico) l’Italia potrà iniziare azioni di risparmio ed efficientamento e cominciare anche a produrre idrogeno.

 

Ci saranno 4 punti di Pil in più entro 5 anni.

Lo schema che si sta costruendo intorno agli oltre 300 progetti che lo Stato metterà a terra sarà in grado, se tutto andrà come previsto, si innescheranno meccanismi di imitazione e di innovazione all’interno di tutta l’economia e di gemmare nuove iniziative imprenditoriali, di sviluppare indotto, di stimolare start up. Un libro dei sogni? Non tanto. Anche gli economisti della Banca d’Italia calcolano che lo stimolo in termini di Pil potrà essere vigoroso. Ecco le parole del governatore Ignazio Visco, pronunciate il 31 maggio in occasione delle Considerazioni finali. “L’impatto degli effetti di domanda, tenuto conto dello stimolo all’accumulazione privata attivato dalle complementarità con il capitale pubblico, potrà portare a un aumento del livello del PIL tra i 3 e i 4 punti percentuali entro il 2026. Significativi effetti aggiuntivi, fino a 6 punti in un decennio, potranno derivare dalle riforme e dai piani di incentivo alla ricerca e all’innovazione. Nel complesso, un piano efficacemente eseguito, nella realizzazione degli investimenti come nell’attuazione delle riforme, potrebbe elevare la crescita potenziale annua dell’economia italiana di poco meno di un punto percentuale nella media del prossimo decennio, consentendo di tornare a tassi di incremento del prodotto che la nostra economia non consegue da anni”.

E’ vero che l’Italia ha tanta strada da fare, ma è anche vero che strutture pronte a far parte dello sciame innovativo del Recovery Fund già ce ne sono. Tra le tante ne abbiamo scelte tre.

Focus/1. La visita di Draghi al Tecnopolo.

Il Tecnopolo di Bologna, destinato a diventare un hub nazionale ed europeo per la ricerca e l’innovazione nell’ambito di Big Data, climatologia e Human Development. Nasce da un progetto di riqualificazione urbana dell’area occupata dall’ex Manifattura Tabacchi di Bologna (oltre 120.000 mq). Gli spazi sono stati ristrutturati per ospitare la sede di importanti centri di ricerca e delle relative infrastrutture tecnologiche, grazie a cui troveranno impiego – secondo le stime della Regione – almeno 1.500 persone, tra ricercatori, tecnici e addetti, con benefici occupazionali anche per l’intero ecosistema economico territoriale. Il più importante è il Centro Europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), un organismo internazionale che vede la partecipazione di 22 Stati membri, fra cui l’Italia, e 12 paesi cooperanti. L’altra grande infrastruttura tecnologica del Tecnopolo è il supercomputer europeo Leonardo, un progetto da 240 milioni di euro sostenuto dall’Ue, dal Governo italiano e dalla Regione. Grazie al Tecnopolo di Bologna, l’Italia godrà di una posizione di assoluto vantaggio nell’ambito dei Big Data e della capacità di calcolo. Il solo Leonardo è destinato a cambiare la geopolitica del supercalcolo mondiale e il peso della Data Valley emiliana-romagnola: qui si concentrerà circa l’80% della potenza di calcolo nazionale e il 20% di quella europea, consegnando all’Italia un ruolo decisivo nel rendere l’Europa sempre più competitiva rispetto ai colossi americani e cinesi.

Focus/2. L’innovazione e l’idrogeno della Snam.

Si chiama Hydrogen Innovation Center, primo polo di eccellenza nazionale per le tecnologie dell’idrogeno. Target della Snam che lo promuove: aggregare soci industriali e centri di ricerca universitari per accelerare lo sviluppo del settore e contribuire al raggiungimento degli obiettivi climatici nazionali ed europei. “La missione dell’Hydrogen Innovation Center è costruire un’alleanza strategica tra imprese e mondo della ricerca per consolidare la filiera italiana dell’idrogeno e favorire la nascita di nuove aziende e progetti”, ha dichiarato Cosma Panzacchi, Evp Hydrogen di Snam. La prima sede dell’Hydrogen Innovation Center sarà inaugurata a Modena, nell’ambito di un accordo di collaborazione tra Snam e l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia. Le attività di ricerca e sperimentazione comprenderanno l’intera filiera dell’idrogeno, dalle tecnologie di produzione alle infrastrutture di trasporto e stoccaggio fino agli usi finali, quali applicazioni industriali (siderurgia) e trasporti (automobili e camion a celle a combustibile, navi e treni).

Focus/3. Da Capua allo spazio.

Il Centro di Ricerche Aerospaziali di Capua vola alto. E attraverso questa eccellenza dell’industria e della ricerca nazionale, l’Italia conta di stare in campo nel promettente settore aerospaziale. Il Cira realizzerà, con Alenia Space, il sistema europeo di trasporto spaziale e protezione termica riutilizzabile per missioni in orbita bassa. Il programma si chiama Space Rider, è finanziato dall’Unione europea e consentirà al veicolo spaziale made in Italy una permanenza in orbita di due mesi. E dopo l’atterraggio la navetta potrà essere riutilizzata per altre sei missioni. «Questo è un progetto del quale siamo particolarmente orgogliosi, frutto delle nostre ricerche e delle tecnologie che abbiamo brevettato nel campo della sostenibilità spaziale» commenta Giuseppe Morsillo, presidente del Cira. La seconda iniziativa è una piattaforma stratosferica che rappresenta una rivisitazione dei dirigibile del secolo scorso: ideale per l’attività di osservazione della Terra, e per essere utilizzata in diversi campi. Dall’emergenza civile alle iniziative militari. Spiega Morsillo: «Le attività spaziali saranno sempre più un settore strategico per il Paese, grazie a una filiera nella quale l’Italia vanta aziende all’avanguardia e poli di ricerca, come il Cira, che l’Europa ci invidia». Anche i conti del Cira sono ormai in ordine, con un attivo di 5 milioni riportato nell’ultimo bilancio e con un aumento del fatturato (oggi a 47 milioni di euro) del 40 per cento, previsto nel piano triennale 2021-2023.

Le risorse del Recovery Plan sono immense.

Le risorse europee mobilitate dal Pnrr ammontano a 191,5 miliardi, cui vanno aggiunti i 13,5 miliardi del programma React-Eu – con progetti finanziati dai fondi di coesione europei – e i 30,6 miliardi di un Fondo complementare italiano destinato a finanziare progetti coerenti con le strategie del Pnrr, ma che eccedono il tetto delle risorse europee disponibili. In totale si tratta quindi di circa 235 miliardi, suddivisi fra sei missioni con 70 miliardi alla transizione ecologica, 50 alla digitalizzazione, 34 a istruzione e ricerca, 31 alla mobilità, 30 all’inclusione, 20 alla salute. Quanto alla qualità della spesa, il 61,8% delle risorse è destinato a investimenti pubblici, il 12,2% a spesa corrente, il 18,7% a incentivi alle imprese, il 5% a trasferimenti alle famiglie, il 2,4% a riduzioni di contributi per le imprese. Per che cosa si spende? Per il 32,6% per costruzioni e opere di edilizia civile; per il 12,4% per acquisto di prodotti informatici, elettronici ed ottici; per il 6,9% per altri mezzi di trasporto e il per 6,2% per servizi di ricerca e sviluppo.

Fonte: Repubblica.it

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